Foresta dell’Alta Verapaz in Guatemala
La Foresta di Alta Verapaz si trova in Guatemala ed il suo territorio è molto vario e suggestivo. Ecco un racconto di viaggio che vi porterà alla scoperta di uno dei luoghi più selvaggi ed incontaminati della terra.
Alta Verapaz: dove si trova, cosa fare ed impressioni
Alta Verapaz è uno dei 22 dipartimenti del Guatemala il cui capoluogo è l’incredibile Città di Cobàn ed ha la caratteristica peculiare di avere un territorio dalla grande variabilità unico nel suo genere.
Voglio raccontarvi questa mia esperienza di viaggio in uno dei luoghi più straordinari, selvaggi ed incontaminati della terra.
Quando arrivammo a Coban a novembre 2019, io e Vera trascorrevamo le nostre vacanze in Guatemala da circa un mese. Il reportage fotografico che stavamo facendo su questa piccola cittadina del Centro America era appena iniziato ma eravamo già soddisfatti dall’accoglienza dei Guatemaltechi, dai meravigliosi scenari offertici dagli altipiani e dall’ottima qualità degli scatti ottenuti fino a quel momento.
Il desiderio di visitare luoghi davvero sconosciuti e uscire fuori dalle piste battute dalla maggior parte dei turisti era sempre grande e l’opportunità si materializzò quando due giovani si presentarono come Julio Calindo e Sergio Godoy, due preti che avevano trascorso dieci anni in Italia e sentendo due “zainari” parlare quella lingua a loro familiare, aveva attratto la loro attenzione.
Appena mezz’ora dopo averli conosciuti, padre Sergio ci invitò a pranzare a casa di sua madre. L’intera famiglia era li ad attenderci sulla soglia della casa, il padre di Sergi era uno storico ed in poche ore ci fornì delle informazioni sulla storia del Guatemala e ci diede una ancor più dettagliata visione della dell’Alta Verapaz, la regione che stavamo visitando in quel momento.
La signora Godoy oltre ad essere una ottima cuoca si rivelò essere anche una commensale loquace e colta, oltre ai genitori di padre Sergio erano presenti anche il fratello, la sorella, la nipotina e uno zio. Quella inaspettata giornata fu una sorpresa piacevolissima e aver trascorso alcune ore con una famiglia così ospitale ci fece sentire il calore umano di chi non ha secondi fini.
I giorni che seguirono l’incontro con padre Sergio furono zeppi di avvenimenti significativi, ne menziono uno su tutti: aiutammo padre Sergio con i bambini della discarica publica di Coban di cui si prendeva cura da alcuni anni e che vivevano rovistando in mezzo all’immondizia, solo questo fatto fu un inestimabile esperienza che ci commosse.
Dopo alcuni giorni padre Julio ci disse che sarebbe ritornato nel piccolo villaggio di Fray San Bartolomeo de Las Casas dove si trovava la sua parrocchia e con grande stupore ci invitò ad andare con lui anche per capire di che cosa si occupasse lui.
Alle 3,30 a.m. del giorno seguente (10-11-2019) eravamo già svegli e finivamo di impacchettare le ultime cose nei nostri zaini, dopo circa un ora eravamo già in viaggio verso Fray, accompagnati da una pioggerellina continua che a Coban ha un nome preciso, “piri-piri”. Oltre a padre Julio, i nostri compagni di viaggio erano Pedro che con la sua conoscenza dei dialetti maya fungeva da traduttore oltre che da autista e Robin un giovane Maya di etnia Kaqchikel che grazie all’aiuto di Padre Julio era riuscito a laurearsi in economia e commercio ed ora coadiuvava il lavoro di Julio. Dopo alcune ore di cammino le prime luci dell’alba iniziarono ad illuminare la strada e così decidemmo di fermarci in un comedor lungo la strada dove mangiammo una colazione ristoratrice. Padre Julio ci spiegò che si prendeva cura di 70 villaggi situati all’interno della foresta e che con grande sforzo stava tentando di aiutare questa gente a emanciparsi attraverso l’alfabetizzazione dei giovani ma che il suo lavoro stava diventando ogni giorno più difficile vista la scarsità di fondi e la totale indifferenza delle autorità locali.
Intorno alle 10 a.m. giungemmo a Fray, che non era altro che un paesino che si snodava lungo una strada provinciale e dove c’erano solo catapecchie di legno che, pretenziosamente, si chiamavano birrerie e dove non mancavano “grosse donne” pronte a spillare un pò di soldi a qualche ubriacone, tra l’altro la pioggia che era caduta fino a qualche ora prima, imprimeva un alone di tristezza e squallore ancora più spesso a quel “paesino”.
La grossa jeep su cui viaggiavamo imboccò una strada sterrata e fangosa che la pioggia aveva reso ancora più scivola, dopo non più di mezzo km la vegetazione iniziò a farsi più densa su ambo i lati ed ebbi la sensazione che man mano che ci inoltravamo nella foresta tutto quel verde intenso cancellasse lo squallore che appena dieci minuti prima mi opprimeva.
Ancora più avanti la strada si ridusse a poco più di un sentiero non più largo di un metro e mezzo ma il bravo Pedro guidava con gran maestria e sia io che Vera ci sentivamo sicuri. Lungo il cammino incontrammo alcune donne che sbucavano fuori dalla foresta con delle grosse fascine di legna tenute in equilibrio sulla testa.
Ci guardavano con curiosità e divertimento e subito colsero l’occasione di chiederci un passaggio e così in poco tempo il cassone fu pieno di contadine.
La nostra metà si chiamava Mukblim, ci arrivammo dopo due ore di lento cammino. Il villaggio era composto da non più di dieci capanne costruite con paglia e legna, gli animali domestici gironzolavano tra le capanne con fare pigro (specialmente i tacchini…..) ed anche il resto degli abitanti non sembrava avere una gran fretta, a parte i due rappresentanti del villaggio che ci vennero incontro per darci il benvenuto.
L’elettricità come l’acqua corrente erano due comodità sconosciute a parte per un piccolo gruppo elettrogeno che veniva acceso solo per le grandi occasioni e serviva per alimentare le poche lampadine della capanna adibita a chiesa; oggi per loro era un grande giorno visto che Padre Julio era li.
Il colore verde della vegetazione che circondava il villaggio faceva risaltare ancora di più i vestiti degli abitanti, tessuti con stoffe dai colori sgargianti ed attratto dai versi delle scimmie alzai gli occhi, una leggera nebbiolina si alzava dalla foresta e rendeva l’atmosfera ancora più primordiale e magica. A ricondurmi al presente fu la voce di Padre Julio che ci chiamava per l’inizio della messa che celebrò grazie all’aiuto di Pedro(l’autista e traduttore) che tradusse le parole del prete dal “castegliano” al “keqki”, subito dopo la cerimonia ci fu servito un caldo de gallina (brodo di gallina) reso rosso dall’aciote (vegetale che colora il mangiare) presente nella pietanza.
Appena finimmo di mangiare Vera si mise a scattare foto di alcune bimbe che per l’occasione si erano messe il vestito migliore ma i loro piedi nudi affondavano nel fango, altre fotografie di quel paesaggio magnifico che circondava il villaggio furono scattate da Vera.
Durante i giorni successivi e la nostra conoscenza con gli abitanti di Mukblim crebbe, come anche il nostro apprezzamento per lo stile di vita e il profondo rispetto per la natura che li circondava.
Sia io che Vera apprendemmo una lezione dagli abitanti di Mukblim che non ci chiesero mai niente ma anzi divisero con noi quel poco che avevano e si presero cura di noi assicurandosi che fossimo soddisfatti; per farla breve ci dimostrarono il pieno significato della parola dignità.
Rientrati in Italia io e Vera abbiamo costituito una O.N.L.U.S. e i soldi che abbiamo ricavato dalla mostra fotografica,(novembre/dicembre 2020) dalla vendita delle fotografie e dalle donazioni sono stati inviati a Padre Sergio per i bimbi della discarica di Coban e a Padre Julio per gli abitanti di Mukblim.
Questo è un diario di viaggio che racconta più che altro le impressioni di comunissime persone che hanno visto con i propri occhi cosa significa essere poveri.
D’altro canto possiamo dirvi che la natura che circondava con i suoi odori, rumori e profumi, ha davvero dell’incredibile, a prescindere, ovviamente dalla discarica di Coban.